Nel 1956 negli Stati Uniti, a Newark, una cinquantina di grandi scatole di metallo, stipate di merci, venivano caricate su una vecchia nave che, cinque giorni dopo, le sbarcava nel Texas. Senza grandi clamori era nato un rivoluzionario sistema di logistica che, insieme alla volontà di liberalizzazione del commercio adottata dagli USA e poi dall’Europa, ha sviluppato il fenomeno planetario che oggi chiamiamo globalizzazione; ciò perchè la possibilità di utilizzare un unico contenitore, facilmente manovrabile, per ogni tipo di mezzo di trasporto -camion, nave, ferrovia- ne ha abbattuto i costi e i tempi. Da allora il numero di queste scatole di metallo, i containers, è cresciuto esponenzialmente e con esso la necessità di pensarne una possibilità di riuso quando giungono alla fine della loro vita utile come contenitori di merci.
In fondo sono dei mattoni cavi giganti e allora da qualche anno si stà sperimentando l’idea di rìutilizzarli come moduli abitabili. Al solito l’America è stata capofila di questa novità, addirittura utilizzando speciali vernici ceramiche isolanti progettate dalla Nasa per le navicelle spaziali al fine di renderli termicamente confortevoli.
E’ un modo di riciclare, ricollocare un’enorme quantità di metallo, la cui produzione ha costi e pesi energetici elevati, un’idea intelligente perche questi moduli facilmente possono essere montati, variamente assemblati, ricollocati e, attraverso quella strana operazione che si chiama “progetto”, possono assumere la valenza di “architettura”. L’esempio americano è stato seguito in Italia, a Ravenna, ma anche in Corea, Sudan, Francia, in altri luoghi dove i terminal del commercio mondiale contribuiscono ad accatastare grandi quantità di queste scatole con effetti devastanti per il paesaggio.
Ecco un esempio di come con l’inventiva dal rifiuto, i container abbandonati, si possa trarre ricchezza economica e non solo.
Si perchè a vedere alcune realizzazioni, (a Ravenna gli architetti Burroni e Dapporto hanno realizzato eleganti box per estensioni all’aperto di bar e ristoranti, a Khartum sono stati realizzati alloggi per il personale medico di un’organizzazione umanitaria, in altre parti del mondo sono state realizzate estensioni di scuole, oppure uffici) si possono raggiungere risultati estetici e funzionali ragguardevoli.
A me pare che queste scatole possano anche costituire un materiale “intelligente” per realizzare abitazioni temporanee, anche dotate di una certa valenza estetica e, sicuramente, di una grande flessibilità di localizzazione, visto che i moduli possono essere spostati, interi, sul cassone di un camion. Immaginiamo l’utilità che se ne può trarre in epoca di grandi flussi migratori come quella che viviamo o quale celerità di risposta e quale miglior comfort si possa assicurare in caso di calamità naturali che, ora come in passato, costringono grandi masse di popolazione in sistemazioni di fortuna. Non meno importante è il favorevole bilancio energetico globale visto che si usa un elemento i cui costi di produzione energetici sono stati già sostenuti e che viene trasformato da rifiuto a risorsa. Naturalmente ciò ha un senso quando se ne prevede l’uso attraverso il progetto d’architettura, l’unico strumento capace, da millenni a questa parte, di trasformare la materia bruta in luogo d’accoglienza per l’uomo.