La città si interroga: sul suo essere, sul divenire. Stati generali, dibattito sulla stampa, convegni organizzati da istituti di cultura hanno innescato un interessante confronto sulle potenzialità di una delle più importanti città del meridione d’Italia e, potenzialmente, dell’intero Mediterraneo. Una città che, sin dal suo più antico passato, è stata sempre un polo di scambi, commerci, cultura.
E che, da un po’ di tempo, fatica a ritrovare questo suo essere. Il futuro di Catania è legato alla scelta di una strategia cui riferire il modello di sviluppo e trasformazione urbanistica che deve accompagnare e supportare una strategia sociale. Qualsiasi modello di trasformazione si sceglierà esso non può prescindere dalla città esistente e dal suo territorio che ha alcuni punti nodali: l’immagine e la struttura barocca stratificata sulla città più antica, il paesaggio dell’Etna, il paesaggio del mare. Oggi Catania è una città bloccata tra la cintura dei centri commerciali, con la più alta concentrazione d’Italia, e il suo centro storico, immobile tra il suo essere ad un tempo monumento e centro del caos amministrativo e, meno che una volta, commerciale. Tra le due parti c’è una città debole, priva di qualità urbana diffusa, di quei fenomeni di positiva trasformazione, che testimonia una rassegnazione alla mediocrità su cui ancora poco hanno inciso le azioni di una parte dell’imprenditoria e delle professioni che da tempo si battono per superare questo stallo. E dire che le opportunità non mancano. Ad esempio, se pensiamo al progressivo abbandono del centro storico da parte delle strutture commerciali di qualità, che ne hanno costituito in passato la struttura, non possiamo non considerare le opportunità offerte dalla struttura urbana: mi riferisco alla diffusa presenza di grandi corti nei palazzi storici che, se inserite nel progetto di mobilità pedonale, potrebbero costituire delle validissime opportunità di riqualificazione dello spazio pubblico attraverso le quali implementare quei centri commerciali naturali di cui si sente parlare ma che rimangono, allo stato, mere enunciazioni di principio. Non è difficile immaginare che un’operazione come questa avrebbe come corollario le opere di riqualificazione dei palazzi storici oltre che un’opportunità per riportare interessi sani all’interno delle mura cittadine. Immaginiamo questo insieme alla riappropriazione del mare, della costa, liberata da flussi di traffico, dalla cintura del ferro, dalle barriere del porto: una sorta di parco lineare urbano, del quale altre volte abbiamo parlato e che potrebbe svolgersi da Ognina fino ai lidi della Plaja coinvolgendo le vedute emozionali godibili dal percorso sopraelevato degli “archi” della marina .
Oggi, leggiamo, si fa anche strada l’idea che l’urbanistica a Catania deve essere considerata non per i suoi freddi aspetti numerico-buracratici, ma per le sue implicazioni qualitative ed emozionali, che erano il faro di chi la città post-terremoto immaginò e costruì. Ci vorrà forse ancora un po’ di tempo perché questa concezione si affermi come pratica corrente. Basterebbe, per iniziare, che il rapporto tra la città che produce e la sua struttura burocratico-amministrativa diventasse un po’ più collaborativo e snello, anche nelle cose minute e che in tutti, a partire da chi ha la responsabilità delle scelte, s’infondesse il senso della collaborazione e della responsabilità di un destino comune.