L’Italia cresce poco. Uno tra i motivi è il deficit infrastrutturale che scontiamo rispetto ad altre economie, figlio di decenni di riduzione degli investimenti, del blocco o degli enormi ritardi dei pochi che si riescono ad attivare.
Al netto dei pochi soldi disponibili, le cause sono da ricercare anche (non solo) nella complessità del sistema normativo e regolamentare, nelle difficoltà interpretative legate all’astrusità del linguaggio utilizzato per redigerlo. Ciò nonostante sia evidente che le Leggi servono a trasferire conoscenza agli utilizzatori in modo che essi abbiano certezze sulle regole che debbono rispettare nelle propri comportamenti e nelle proprie azioni.
Ora in Italia si procede con ampia frequenza a modifiche su modifiche delle norme, e il linguaggio con il quale queste vengono redatte richiede, anche agli addetti ai lavori, un paziente esercizio di ricerca visti i continui richiami ad altre Leggi, articoli, per cui è difficoltoso avere un quadro chiaro delle norme da rispettare e queste si prestano ad una miriade di interpretazioni possibili.
Viene di fatto meno la finalità fondamentale della norma e cioè quella di consentire al cittadino o alle imprese di conoscere chiaramente quali siano i diritti e i doveri.
E’ un vizio molto italiano che trova riscontro nel linguaggio giuridico/giudiziario: lo descrive molto bene Gianrico Carofiglio (politico e magistrato) nel suo saggio “La manutenzione delle parole”, quando afferma che il linguaggio di questo mondo è quasi sacerdotale e la sua oscurità può assimilarsi quasi a una forma autoritaria dell’esercizio del potere.
Una condizione che assume una rilevanza pratica nella incertezza che genera nei comportamenti ed azioni concrete della società e della sua economia. Non è sufficientemente chiaro cosa si può fare, come si deve fare e, in quest’incertezza, trovano posto alcune forzature o alcune ingiustizie che poi determinano blocchi, ritardi, mancati investimenti. Che a loro volta generano ricorsi all’Autorità Giudiziaria che deve porsi quale interprete dei diritti e doveri e lo fà con il linguaggio e i mezzi che le sono propri: una sorta di supplenza rispetto all’incapacità di chì è chiamato alla gestione della Nazione -la Politica- che dovrebbe darci, come nostro diritto, un quadro di certezze comportamentali.
Ecco allora che tutto in Italia diventa difficile, a volte oscuro, ecco che allora i capitali stranieri e non solo, non investono perchè non hanno alcuna certezza della correttezza dell’operazione e dei suoi tempi.
Non stupisce quindi che, nell’ambito delle infrastrutture e della trasformazione del territorio, la crisi abbia fatto sentire pesantemente i suoi effetti, certo non soltanto per le ragioni sopra esposte, ma che hanno contribuito ad amplificarla.
Se mediamente l’occupazione in Italia a fatica tiene, non è così per le aziende, le professioni, i lavoratori di questo settore.
Una recente ricerca Ires rileva che l’83% dei professionisti “guadagna” meno di 30000 Euro l’anno, la metà di questi meno di 15000, con scarse tutele e con incertezze grandissime sulla continuità del reddito; quando lavorano lo fanno con ritmi che rendono poco conciliabile l’attività lavorativa con una normale vita familiare e relazionale. Moltissimi non vedono soluzioni e si dichiarano disposti anche a lasciare l’Italia.
Come possa un Paese moderno crescere dilapidando il suo patrimonio di conoscenza è cosa che mi sfugge.