L'EMOZIONE DELL'ESPERIENZA URBANA / DOVE VANNO LE CITTÀ

1 Emozione e bellezza
L’emozione è uno stato mentale e fisiologico; deriva da stimoli esterni, naturali o appresi. Le emozioni influiscono sul modo di relazionarsi con le persone o il contesto. Sono capaci di un’azione auto regolativa dei comportamenti per cui non sono sentimenti né stati d’animo. Esse, specie quelle negative, sono in grado di condizionare il benessere delle persone.
Una riflessione ben presente in un aforisma di Kahil Gibram: “L’aspetto delle cose varia secondo le emozioni; e così noi vediamo bellezza nelle cose ma in realtà magia e bellezza sono dentro di noi.” Un concetto molto simile a quello espresso dal filosofo Plotino, in epoca tardo romana. La bellezza poi, secondo Alberoni, è qualcosa di dinamico, è un’azione interrotta, è tensione verso qualcosa che sfugge o va oltre la nostra immediatezza; la si può collegare quindi, in qualche modo, allo struggimento.
Il concetto di bellezza è anche legato all’esperienza della percezione, che è mediata dalla cultura della quale siamo intrisi: una cultura classica percepirà il bello attraverso l’armonia, il canone, le proporzioni vitruviane nell’ambito architettonico. Parametri che si ribaltano nel concetto di “contemporaneo” dove essi diventano- ad esempio- l’asimmetria, l’imperfezione controllata, il messaggio sociale. In ogni caso, il concetto di bellezza è riferito ad un insieme di qualità rispondenti a parametri prefissati e soggettivi, nel senso più ampio di percezione.
2 La bellezza delle città e la sindrome dell’eternità
La bellezza e l’emozione di una città sono quindi si legate alla sua fisicità materiale ma, credo, anche ad elementi immateriali: la sua storia quindi il suo divenire, il suo paesaggio, il clima non solo in senso meteorologico, l’educazione e il grado di empatia dei suoi abitanti. È, quindi, la città -Catania come le altre- un elemento dinamico, capace di registrare e stratificare le sue trasformazioni, un “libro di pietra” così come da una suggestiva definizione di Victor Hugo. La sua bellezza, perciò, la sua capacità di emozionare, è strettamente legata alla sua capacità di continua evoluzione, trasformazione, stratificazione. Concetti negati dalla sindrome della “presunzione dell’ eternità”. Per un certo, lungo, periodo siamo stati preda della presunzione dell’eternità. Abbiamo cercato di congelare la parte viva, più ricca di storia, della città con la pretesa di conservarla, così come l’abbiamo trovata, per l’eternità, negando nei fatti la sua stessa essenza di fatto evolutivo. Forse perché abbacinati dalla bellezza degli scorci storici, dalle viste sapientemente studiate e programmate da chi ci ha preceduto (che invece operava secondo logiche evolutive e di riuso) fino a quando questa imbalsamatura non ha cominciato a rendere invivibili le parti storiche o pretese tali. Si è determinata una “concorrenza” tra la città storica e quella moderna, spesso costruita senza alcuna attenzione alla bellezza, solo sulla base di principi funzionali che ha sancito l’abbandono di molti centri storici . Un lungo periodo della nostra storia, purtroppo ancora presente in qualche non raro caso, nel quale si è creduto che il numero, il “parametro”, predeterminato fosse sufficiente ad edificare una città nuova etica e funzionale. Il ripensamento -opportuno- su questo tipo di approccio ci sta portando a ritenere come ineludibile l’inversione di polarità tra “la norma che genera il progetto” e il progetto che genera la norma”, dove più importanti sono le finalità e le esigenze cui dare risposta e solo dalle risposte a questi quesiti si può immaginare una norma che ne assicuri il conseguimento. Se ci pensiamo, le nostre città, che tanto belle sono state, hanno bisogno di ritrovare nuova bellezza, che non ha bisogno di grandi gesti architettonici ma di semplice qualità diffusa. Hanno bisogno di cura, accuratezza nel disegno o ridisegno di una piccola piazza, di una facciata o del profilo dei fabbricati. Bisogna che ci si occupi di più del valore architettonico e meno del rispetto di un parametro acriticamente determinato. Abbiamo bisogno di un nuovo rinascimento che consiste nell’impegno e nella capacità di far evolvere e migliorare quello che abbiamo già costruito perché la storia che oggi veneriamo e vorremmo conservare all’infinito non ci sarebbe stata se i nostri avi avessero pensato e agito come noi pretendiamo di fare.
3 Lo spazio pubblico e la surroga privata
Una parte significativa, in questo ragionamento, assumono i vuoti: elementi di pausa, camera di compensazione delle tensioni urbane. L’alternanza tra pieno e vuoto corrisponde ad un ritmo. Quasi una partitura musicale e quindi una modulazione delle percezioni che alla fine contribuisce a determinare un certo tipo di sensazione - emozione. Cui da un particolare contributo la luce; essa dipende dalla localizzazione, dalla latitudine, incide in modo diverso in dipendenza dei materiali di cui è fatta la città. Una questione non di secondo piano se consideriamo che lo spazio pubblico è il luogo deputato alle attività relazionali e quindi luogo economico. La scarsa attenzione, la scarsa cura che gli abbiamo dedicato costituisce, penso, uno dei motivi del successo fenomenologico dei grandi centri commerciali posti a corona del perimetro urbano. Non-luoghi che hanno cercato di riprodurre l’effetto città, senza le penalizzazioni della città, ai fini meramente commerciali, creando un doppio danno: da un lato il consumo di enormi quantità di suolo e la costruzione di mausolei spessissimo di dubbio gusto e valore architettonico, dall’altro l’impoverimento e la scomparsa delle attività commerciali di vicinato interne alla città, con la generazione di flussi di traffico tra la città e questi luoghi. Sono nati anche perché le logiche economiche e sociali oggi ancora imperanti sono basate sulla massificazione dei consumi, sullo sfruttamento del lavoro per realizzare prodotti a basso costo e altissimo utile, che poi coincide con la svalutazione del pensiero critico a favore del ribasso economico. Tutte cose che negano la città e, alla fine, determinano una “emozione negativa”.
4 Il welfare urbano, la città liquida, le periferie
I processi di condivisione delle scelte, l’attenzione agli spazi pubblici, specie a quelli verdi da considerare come un continuum strutturale e strutturante, oltre che connettivo, della città, una sorta di infrastruttura, se ben attuati, possono determinare quello che, secondo Paolo La Greca, possiamo definire un sistema di welfare urbano, un meccanismo che induce allo star bene attraverso le sensazioni, prestazioni ed emozioni che sono rese orizzontalmente disponibili a tutti i cittadini. Al contempo bisogna considerare, attentamente, i fenomeni evolutivi e innovativi che si avvicendano ad un ritmo costante: Evoluzione tecnologica, stampa 3D, energy storage, robotica, internet delle cose, mobilità pubblica e privata interconnessa, stanno stravolgendo interi sistemi economici e relazionali con velocità sempre maggiore. È ovvio, oltre che necessario, che le città devono essere in grado di governare questi cambiamenti e quindi ad essi essere resilienti, città capaci di modificare la loro forma e la loro strutturazione in maniera controllata, città aventi la “forma dell’acqua”. Le periferie sono le parti della città dove più facile e più necessario è garantire questa possibilità di cambiamento paradigmatico. In esse vive la maggior parte delle persone e a loro, per primi, l’architettura deve delle risposte anche attraverso l’inversione, anche qui, della polarità: dal degrado alla bellezza. È un atto politico prima che tecnico-professionale come peraltro si rileva nel giuramento che era imposto ai politici ateniesi nell’antichità: “Giuro di restituire Atene migliore di come me l’avete consegnata”. Chi vuole imbarcarsi in quest’avventura, politico o architetto che sia, è necessario possegga lo spirito dell’esploratore o almeno quello del viaggiatore, certamente non quello dell’avventuriero, peggio ancora quello del pavido.
Sono caratteristiche necessarie se consideriamo vere, e lo sono, le considerazioni di Peppino Impastato mirabilmente raccontate nel film “I cento passi”...“più che la lotta politica, di classe, bisognerebbe ricordare alla gente cos’è la bellezza; insegnargli a riconoscerla, a diffonderla. È importante la bellezza, da essa discende tutto il resto.”
5 La bellezza e l'evoluzione attesa
Un concetto, quello della bellezza, che non può essere disgiunto dalla consapevolezza che il mondo si avvia, in varia misura ad un nuovo processo di urbanizzazione, molto più forte nei Paesi in via di sviluppo, più lento in Europa e quasi sempre concentrato nelle aree metropolitane. Il perché è abbastanza ovvio: sono queste le aree dove si concentra la possibilità di lavoro, l’innovazione, la possibilità di ottenere servizi e opportunità. Allora bisogna governare il fenomeno e, almeno nella realtà europea, ridurne l’impatto agendo sulla densificazione della città consolidata, agendo sulla possibilità di rigenerazione/sostituzione di sue parti secondo un ottica responsabile, attenta alla sicurezza e agli aspetti di sostenibilità energetica. Anche perché l’attenzione a questi fenomeni determina l’appetibilità del sistema urbano, la sua capacità di dare risposte ai bisogni dei cittadini. In questo l’Italia è ancora in ritardo: siamo ancora alla discussione sul consumo zero di suolo quando l’espansione che le città, specie quelle metropolitane, conosceranno richiederà nuovo hardware, infrastrutture e abitazioni. La sfida, che gli architetti italiani avevano già individuato nel 2008 con il manifesto pubblicato a margine del congresso mondiale svoltosi a Torino, è quella di coniugare questi temi con responsabilità ma senza paure. Occorrerà che anche chi ha responsabilità politica, quella del governo del territorio, se ne renda conto, favorendo un’adeguata programmazione, che poi significa decidere del futuro della società, con orizzonte temporale almeno ventennale.

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