La lezione che viene dalle banlieues: costruire case pensando a quanti ci vivranno

I recenti, dolorosi, eventi francesi inducono ad una ulteriore riflessione sul degrado sociale che l’emarginazione, anche fisica, di parti della città, sicuramente determina e le cui tragiche conseguenze abbiamo tutti potuto vedere.
Se da un lato è realistico considerare che la gran parte delle città italiane poco hanno in comune con le “banlieu” parigine, certo non possiamo nasconderci che i rischi dell’esplosione sociale, anche a seguito di fenomeni incontrollati di immigrazione, possano concretizzarsi in un prossimo futuro nel nostro Paese.
Il fenomeno più eclatante della rivolta francese è stato quello della distruzione di auto e l’incendio di edifici pubblici; in qualche modo il rifiuto e la conseguente distruzione di beni materiali che quei disperati non hanno speranza di raggiungere o non sentono come propri.
In sostanza non si è innescato, nelle periferie francesi, quel senso di appartenenza ad un luogo e ad un tempo il cui raggiungimento è, o dovrebbe essere, uno dei fini dell’urbanistica e dell’architettura; cosa ancora più preoccupante perché riscontrato in un Paese che nell’architettura e nell’urbanistica ha investito molto, investimento forse però troppo concentrato sull’architettura e l’urbanistica ufficiale, quella della “grandeur”, della rappresentanza del potere, fenomeno questo comune anche alla nostra realtà.
Ed allora diventa un investimento per il futuro, per la tranquillità ed anche per l’equità sociale delle nostre e delle future generazioni, ripensare i quartieri esistenti e quelli di prossima costruzione ponendo attenzione certamente ai numeri, ai costi, all’urbanistica dei codici e codicilli, non dimenticandosi però che dopo i numeri i codici e gli euro, ci sono le persone, le famiglie, il diritto di vivere in un ambiente, interno ed esterno gradevole, che offra opportunità, che si senta come proprio, ed in quanto tale, da proteggere e conservare.
L’architettura, la sua qualità, non è la risposta demiurgica e totalizzante al problema; è però un elemento fondamentale che insieme ad altri può contribuire ad evitare che nuove “balieu” o periferie esplodano. L’architettura e l’urbanistica possono dare risposte all’esigenza di vivibilità gratificante, investendo energie e risorse nello studio delle combinazioni tra servizi e residenze, tra luoghi di svago e di lavoro, tra aree verdi e strade, per le quali risposte, paradossalmente ma non tanto, poco è utile il semplice rispetto di codici e parametri numerici. Molto di più sarà utile lo studio psico-sociologico dei riflessi che questi elementi, tra loro combinati, potranno avere si fruitori; molto di più varrà dare a questi elementi funzionali dei valori estetici ed emozionali paragonabili, nella loro necessaria diversità, a quelli presenti nei centri urbani consolidati, la cosiddetta città forte. Non basterà costruire case se insieme alle case non si costruirà il tessuto su cui far nascere il senso dell’accoglienza, dell’integrazione, del rispetto per se stessi e per gli altri.
A conti fatti , anche dal punto di vista materiale ed economico, l’ investimento si rivelerà redditizio: Parigi ed i suoi roghi insegnano.

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