Qualche giorno addietro un lettore, sulle colonne de “Lo dico a La Sicilia” s’interrogava se a Catania vi fosse un solo architetto e un solo stile considerate alcune recenti realizzazioni, fortemente caratterizzate dall’uso del travertino sulle facciate. L’interrogativo merita un piccolo approfondimento: intanto è evidente che i soggetti economici in grado di avviare nuove iniziative edilizie, nella nostra città come in altre, tendono sempre più a ridursi causa il clima di sfiducia causato dalla crisi del mercato; poi è abbastanza normale, almeno lo è stato sin qui, che il singolo imprenditore abbia uno studio di progettazione di riferimento; il corollario conseguente è che a un imprenditore spesso corrisponde lo stesso progettista, per ragioni di affinità elettive, convenienza economica, per rapporto di fiducia. Nulla di male, anzi una cosa naturale se ripensiamo al rapporto di Adriano Olivetti con il gruppo, prestigioso, di Gabetti & Isola nel Piemonte del dopoguerra. Un rapporto tra l’industriale illuminato con degli artisti, valentissimi architetti, basato sul comune sentire di operare sul territorio attraverso operazioni edilizie si, ma a forte connotazione culturale.
Spirito che non sembra, a prima vista, pervadere gli odierni rapporti tra committenti e architetti, almeno non sempre. Probabilmente le realizzazioni cui il lettore faceva riferimento, sicuramente più che legittime sotto tutti i punti di vista, hanno avuto altri valori e priorità: Mi pare ci possano ad esempio essere pochi dubbi che l’uso costante e pervadente del travertino nel rivestimento delle facciate sia ascrivibile ad almeno tre fattori: il primo, la disponibilità a costi convenienti del materiale; il secondo, il desiderio di realizzare degli edifici in cui fosse forte la connotazione estetica – differente da quanto sin ora realizzato-; il terzo, solleticare negli acquirenti, attraverso la diversità e il pregio del materiale, la sensazione ( e l’aspirazione ) del “lusso”. Nulla di male in sè ovviamente, anzi le prime due aspirazioni potenzialmente positive se sviluppate attraverso un approccio culturale.
Mi spiego meglio: da sempre, o almeno fino ai primi del novecento, le costruzioni sono state fatte usando i materiali reperibili sul posto: ciò che ha connotato l’architettura dei luoghi per immagine estetica e anche in ragione delle possibilità strutturali dei materiali. L’architettura è tale se è unica e lo può essere anche aderendo a principi base comuni: la storia passata e recente ci ha lasciato edifici inseriti a pieno titolo in una corrente stilistica e comunque unici e irripetibili, basti pensare al barocco, al razionalismo, ad alcune opere decostruttiviste. Il lusso: beh, l’uomo è sempre stato vanitoso e alla continua ricerca della gratificazione di se stesso. Quello che forse è mancato un tantino in queste costruzioni è appunto l’approccio culturale, etico se volete. E’ troppo facile chiedersi quale rapporto abbia il travertino con il nostro territorio e poi, siamo sicuri che il lusso oggi sia rappresentato dal pregio del rivestimento o dalle vasche idromassaggio oppure, viceversa, il lusso vero, oltre che una complessiva etica ambientale, non sia l’innovare i valori propri di un territorio?
Poi, l’uso del travertino a Catania non è più “strano” delle architetture “olandesi” che ogni tanto vengono proposte anche da noi e considerate prove di grande abilità!?!