L’architettura non è un lavoro, ma una condizione dello spirito

Per fortuna esercitare l’architettura non è solo cercare disperatamente un committente o districarsi in una selva di norme schizofreniche; non è solo sentirsi dare dell’evasore fiscale o peggio un giorno si e l’altro pure, non è esser considerati percettori di rendita. L’esercizio dell’architettura in tutto il mondo, Italia e sue isole escluse, è un’attività gratificante e riconosciuta che crea anche figure icona, le “archistar”, che con il loro lavoro, fatto di pensiero prima che di atti materiali, indirizzano l’evoluzione dei modelli sociali e di vita governando l’era urbana che ci troviamo a vivere. Ciascuna di queste personalità, pur nella propria specificità, condivide alcuni schemi e modelli invarianti .

Intervistando Norman Foster, Renzo Piano, Zaha Hadid, Herzog, piuttosto che Arata Isozaki, Botta o Fuksas, emerge che tutti considerano il rapporto con il paesaggio e la sua evoluzione come fondante per la ricerca progettuale, in cui i caratteri etico-estetici fondamentali si relazionano che le informazioni che il luogo emana; Tutti affermano che bisogna sentire quello che il luogo ha da dire senza tuttavia rinunciare alla elaborazione innovativa e senza rifugiarsi nella pura estetica. Per tutti la città costituisce il modello di riferimento per la ricerca del benessere dell’uomo proprio perché in essa si generano e concentrano le contraddizioni del vivere contemporaneo cui l’architettura è chiamata a dare una risposta, che non è unica, bensì universale. Cosa singolare quasi tutti, in una prossima vita, vorrebbero continuare a produrre architettura; Segno di gratificazione, nascente dalla consapevolezza del proprio ruolo, perché esercitare l’architettura non è un “lavoro” ma una condizione dello spirito compresa tra mestiere, tecnica, arte e filosofia.
Ora, per che ciò si verifichi occorre, tra l’altro, che le condizioni al contorno siano favorevoli al suo sviluppo. Quasi tutti i paesi occidentali, anche quelli del nuovo mondo e della nuova economia, Italia esclusa, l’hanno ben compreso, per cui il potere politico-amministrativo cerca di creare condizioni favorevoli allo sviluppo del pensiero e della ricerca architettonica ed urbanistica. Non a caso tra i dieci architetti più importanti del mondo se ne annoverano solo due tra gli italiani, prevalentemente per quello che hanno potuto realizzare fuori dall’Italia. La stessa Cina, pur in presenza di un certo deficit democratico, è considerata il mercato di domani ed è il luogo, insieme a Stati Uniti, l’India, il resto d’Europa Spagna in testa, dove più attiva è la ricerca e la sperimentazione di nuova architettura.
Eppure anche quì dobbiamo confrontarci con l’evoluzione della città e la sua identità in ragione del multietnicismo e delle emergenze energetico-ambientali; dobbiamo confrontarci sul rapporto tra i modelli consolidati e l’aspirazione alla città globale ed interconnessa; abbiamo da risolvere i conflitti espressivi ed urbani connessi alle religioni che si trovano a condividere uno stesso territorio.
Problemi ed opportunità di grande rilievo che, finora, il nostro Paese non sembra in grado di cogliere, anzi, per miopia e bassi giochi di potere, cerca di spostare al livello più basso.
Lo svolgimento del tema sulle grandi infrastrutture, Ponte in testa, insegna.
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